Un percorso storico da non perdere se si visita Ascoli Piceno: il Chiostro Maggiore di San Francesco, Via D’Ancaria e Via del Trivio sono luoghi ricchi di cultura.
Ad Ascoli Piceno, in piena epoca romana, nel I secolo d. C., molti secoli prima che la fabbrica della bella Chiesa di San Francesco venisse allestita, tutta la zona del complesso monumentale di San Francesco aveva un aspetto assai diverso. Erano qui presenti numerosi ambienti probabilmente a vocazione commerciale, forse delle antiche tabernae, con pavimenti rustici di cocciopesto, ovvero mattoni tritati e impastati con malta, con imponenti dolia interrati (grandi vasi di terracotta per lo stoccaggio degli alimenti) e piccoli canali di scolo. Passano gli anni, i decenni e i secoli. In via del Trivio sono ben evidenti i segni di una grossa distruzione, forse un incendio che nella tarda epoca romana pone fine al fervore della vita quotidiana in quest’area. Per centinaia d’anni tutto tace, si accumulano rifiuti e terra e fango sopra gli edifici romani ormai ridotti in rovina; uno strato di oltre cinquanta centimetri di terra nera come la pece sigilla e nasconde le antiche vestigia agli stessi abitanti di Ascoli che fino al XII secolo abbandonano completamente questa zona, per concentrarsi e ritirarsi in luoghi più sicuri.
Ma poi ecco il 1200, la rinascita, il ritorno alla vita, l’espansione urbanistica, un rinnovato fervore edilizio che si manifesta con il progetto e la costruzione del complesso di San Francesco, con il suo muro di delimitazione, che rendeva via D’Ancaria e via del Trivio tanto più strette e anguste di quelle che vediamo adesso. Una fornace produceva contenitori di terracotta sobri e robusti, privi di decorazioni, per la mensa di tutti i giorni dei frati del XIV secolo. Crollata e abbandonata all’improvviso l’abbiamo trovata così, con ancora i vasi dell’ultima cottura al suo interno.
Momenti di grande tensione sociale sfociano in violente distruzioni a seguito delle turbolente vicende della città tra ‘300 e ‘400, all’epoca della repubblica ascolana e della cruenta ripresa di possesso pontificia ad opera del Duca di Atri. Aleggia tra la popolazione un forte senso di insicurezza, tale da costringere qualcuno a nascondere ciò che era riuscito a mettere da parte con tanta fatica, probabilmente tutti i sui risparmi: un tesoretto di oltre duecento monete di rame (piccioli) e una grossa moneta d’argento della zecca di Ancona (agontano). Ma il tesoretto, custodito all’interno di un piccolo sacchetto di tela e deposto all’interno di una buca nel terreno, non è mai stato recuperato dal suo proprietario, rimasto vittima forse proprio di quei sanguinosi avvenimenti. Proprio per ricordare questo magnifico ritrovamento e la sfortunata vicenda di chi lo ha nascosto, è oggi visibile sulla nuova pavimentazione di via D’Ancaria, nel luogo esatto della scoperta, una riproduzione in bronzo di una delle monete del tesoretto.